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La cosiddetta “Legge Basaglia”

  • di
Associazione Inseme Oggi per il Futuro Onlus
Franco Basaglia (1924-1980). Fondatore della concezione moderna della salute mentale.

La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere.

(Franco Basaglia.)

Con Legge Basaglia si intende in Italia la legge 13 maggio 1978, n. 180, in tema di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori“. La legge in sé è durata solo pochi mesi, ossia fino all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (23 dicembre 1978). Il 23 dicembre 1978 fu approvata la legge 23 dicembre 1978, n. 833, che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale e conteneva al suo interno (con alcune modifiche) quasi gli stessi articoli della legge 13 maggio 1978, n.180.

Alla legge è associato comunemente il nome di Franco Basaglia (psichiatra e promotore della riforma psichiatrica in Italia). Estensore materiale della legge fu lo psichiatra e politico democristiano Bruno Orsini.

Inizialmente, con il DPR 14 aprile 1978, n.109 era previsto che si tenesse un referendum popolare per l’abrogazione degli articoli essenziali della precedente legge n. 36, 1904 e, successivamente si approvasse la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. In seguito, al fine di evitare il referendum, si stralciarono alcuni articoli da questa per formare la legge 13 maggio 1978, n. 180, la quale fu approvata il 13 maggio 1978, evitando così il referendum. In quest’ultima legge (la n. 180) confluivano gli articoli riguardanti il T.S.O. e l’abrogazione degli articoli principali della legge 14 febbraio 1904, n. 36.

La precedente legge 14 febbraio 1904, n.36 non fu abrogata completamente. Gli articoli riguardanti la parte economica e fiscale della gestione dei manicomi rimasero in vigore.

Descrizione

Ispirandosi alle idee dello psichiatra statunitense Thomas Szasz, Basaglia s’impegnò nel compito di riformare l’organizzazione dell’assistenza psichiatrica ospedaliera e territoriale, proponendo un superamento della logica manicomiale.

Come disse lo stesso Franco Basaglia intervistato da Maurizio Costanzo:

Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione.

(Franco Basaglia)

La Legge 180 è la prima e unica legge quadro che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Ciò ha fatto dell’Italia il primo paese al mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici.

Prima della riforma dell’organizzazione dei servizi psichiatrici legata alla legge n. 180/1978, i manicomi erano spesso significativamente connotati anche come luoghi di contenimento sociale, e dove l’intervento terapeutico e riabilitativo scontava frequentemente le limitazioni di un’impostazione clinica che si apriva poco ai contributi della psichiatria sociale, delle forme di supporto territoriale, delle potenzialità delle strutture intermedie, e della diffusione della psicoterapia nei servizi pubblici.

La legge voleva anche essere un modo per modernizzare l’impostazione clinica dell’assistenza psichiatrica, instaurando rapporti umani rinnovati con il personale e la società, riconoscendo appieno i diritti e la necessità di una vita di qualità dei pazienti, seguiti e curati anche da strutture territoriali.

La legge stessa, nell’articolo 11 (“Norme finali”), prevedeva che la stragrande maggioranza degli articoli (articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9) restassero in vigore solo fino alla data di entrata in vigore della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, condizione poi verificatasi con la legge n. 833 del 23 dicembre 1978.

La legge n. 180/1978 demandò l’attuazione alle Regioni, le quali legiferarono in maniera eterogenea, producendo risultati diversificati nel territorio. Nel 1978 solo nel 55% delle province italiane vi era un ospedale psichiatrico pubblico (solitamente complessi molto estesi, oggi perlopiù lasciati abbandonati), mentre nel resto del Paese ci si avvaleva di strutture private per il 18%, o delle strutture di altre province per il 27%.

Di fatto, solo dopo il 1994, con il “Progetto Obiettivo” e la razionalizzazione delle strutture di assistenza psichiatrica da attivare a livello nazionale, si completò la previsione di legge di eliminazione dei residui manicomiali.

Nonostante critiche e proposte di revisione, le norme della legge n. 180/1978 regolano tuttora l’assistenza psichiatrica in Italia.

Differenze con la precedente legge

La legge 14 febbraio 1904, n. 36 prevedeva dei limiti meno stringenti per l’ammissione dei malati di mente nei manicomi. In teoria, per il ricovero erano necessari sia certificato medico sia un atto di notorietà, ma nella pratica quasi sempre si procedeva con la procedura urgente (che questa legge consentiva). La procedura urgente, in sostanza, prevedeva solo la presentazione di un certificato medico. Una differenza sostanziale era data dagli articoli 3 e 4. L’articolo 3 prevedeva che, perché il malato fosse dimesso, l’ultima parola spettasse al direttore, ma gli interessati potevano presentare reclamo e chiedere al giudice una perizia. L’articolo 4, invece, prevedeva che il direttore avesse “la piena autorità” all’interno del manicomio. Inoltre la legge non garantiva ai degenti la possibilità di comunicare con chicchessia; la facoltà di comunicare con persone esterne (ad esempio, parenti o amici) poteva essere concessa dal direttore a sua discrezione.

 

Tratto da: Wikipedia, l’enciclopedia libera